Enrico Del Debbio

 
DEL DEBBIO, Enrico. - Figlio di Lorenzo ed Ernesta Moracchini, nacque il 26 maggio 1891 a Carrara, dove nel 1912 si diplomò presso l'accademia di belle arti.

Durante gli anni di studio vinse molti premi (tra questi un viaggio di istruzione a Venezia) e al tempo stesso frequentò lo studio del suo professore E. Bonanni. Sempre nel 1912, appena diplomato, vinse con un progetto di palazzo municipale il pensionato Del Monte e si trasferì a Roma, dove cominciò a frequentare l'ambiente artistico dell'accademia di belle arti a Ripetta. Nel 1914 vinse il pensionato artistico nazionale, continuando sempre a frequentare l'ambiente degli artisti e stringendo amicizia con alcuni dei più importanti protagonisti della cultura romana del periodo, tra i quali F. Ferrazzi, A. Limongelli, A. Selva, P. Aschieri, E. Del Neri, L. Volterrani, D. Cambellotti.
Esordì nell'attività professionale nel 1918, partecipando al concorso per la costruzione di case popolari bandito dall'Istituto case popolari di Parma. Poco tempo dopo, nel 1920, iniziò anche la carriera di docente nella scuola superiore di architettura di Roma, come assistente di M. Manfredi. L'impegno didattico, che proseguirà per tutta la vita, continuò l'anno successivo con la nomina a professore di disegno architettonico presso l'istituto di belle arti di Roma. Gli impegni professionali, culturali e di insegnamento si intrecciarono e lo impegnarono totalmente: nel 1921 vinse il premio per l'architettura alla prima Biennale romana d'arte, nel 1922 fu nominato segretario dell'Associazione artistica internazionale, nel 1923 allestì una propria sala personale alla mostra organizzata dagli Amatori e cultori di belle arti; si occupò anche di scenografia, curando scene e costumi per La città morta e per Parisina di G. D'Annunzio.
La sua prima produzione è caratterizzata da una sostanziale adesione al clima di rinnovamento ispirato dalle esperienze internazionali dell'art nouveau: lesuggestioni moderniste, con particolare attenzione alle immagini della cultura della Secessione viennese, che avevano avuto una discussa applicazione a Roma nel cinema Corso (attuale Etoile) di M. Piacentini, sono espresse dal D. in una serie di studi e di disegni degli anni 1914-18, nei quali si avvertono però anche alcuni riferimenti alle contemporanee affermazioni del futurismo, che in quegli anni si raccoglieva in particolare intorno alla figura di G. Balla. Questi studi (di proprietà della famiglia), rimasti allo stadio di "fantasie" e di appunti, documentano tuttavia il tentativo che D. operò in questi anni verso il superamento del repertorio e del linguaggio eclettici che avevano caratterizzato il periodo della sua formazione accademica.

All'inizio degli anni Venti, nell'ambito di un indubbio momento di impasse della cultura architettonica romana, di fatto estranea alle aperture e al rinnovamento del Novecento e delle esperienze metafisiche ed al tempo stesso caratterizzata dalla permanenza, a livello ufficiale, della tradizione eclettica, mentre non si erano ancora formalizzati in modo organico gli influssi del Movimento moderno internazionale, il D. si mosse su una linea di cauta revisione storicista: sono di questi anni il progetto per il monumento ai Caduti romani al Verano (1921; non realizzato; ill. in La Stella, 1980, p. 110), caratterizzato dal recupero di una romanità più piranesiana che filologica, in un certo senso anticlassica e antiretorica, nei limiti che il soggetto poteva concedere.

Particolarmente esemplare ed interessante, per rappresentare questa linea di ricerca, è il progetto delle case d'abitazione della Cooperativa Ars (1924-25) nel quartiere Prati a Roma.
La dimensione "quotidiana" di questi villini destinati ad alcuni artisti consentì al D. di liberarsi dagli ultimi residui di un classicismo consunto per tentare la strada di una citazione più libera, nella quale elementi differenti, desunti sia dalla tradizione romana sia da una memoria storica più diffusa (secondo i procedimenti sperimentati del barocchetto romano) si fondono in modo organico all'interno di schemi compositivi che, organizzando logicamente le parti, ne consentono una lettura semplificata e ricca di suggestioni.

È un processo di semplificazione progressiva del linguaggio che trova ulteriori e ben maggiori sviluppi in alcuni dei progetti successivi, in primo luogo nella palazzina per la Cooperativa Nuova Prati (ora distrutta) in via A. Brofferio a Roma (1928).

Il riferimento immediato, in questo progetto, più che l'architettura romana è piuttosto un classicismo di più ampio respiro, di ispirazione "mediterranea": cade la logica stringente e vincolante dell'ordine e tutti gli elementi classici, le partiture, le membrature si definiscono come elementi applicati, volutamente esterni alla definizione della struttura architettonica, lasciata al semplice gioco dei volumi e al contrasto degli intonaci; è chiara, invece, anche se ancora non esplicitamente dichiarata, la volontà di definire una sostanziale autonomia della costruzione dell'architettura rispetto ad un linguaggio vincolante e automatico, quale era ormai diventato il repertorio classicista.

Dal 1927 del resto il D. fu impegnato in quella che resta forse la sua opera più importante: la realizzazione del complesso del foro Italico (foro Mussolini). Iniziato come progetto per l'accademia di educazione fisica, il programma andò crescendo nel corso degli anni per diventare una sorta di città dello sport, non senza contrasti e modificazioni.

Già nel 1932 si inaugurava il primo blocco di opere: l'accademia, lo stadio dei marmi, lo stadio dei cipressi, sul quale in epoca successiva verrà realizzato lo stadio olimpico.

Tra queste due date, 1927 e 1932, il D. definì le linee generali del complesso: da una iniziale impostazione più decisamente "architettonica", dovuta anche alla limitata dimensione dell'intervento, dove il progetto era trattato come un pezzo unico definito dai limiti imposti dall'ambiente, chiuso tra le ultime propaggini di monte Mario e il Tevere, si passa nelle successive formulazioni a una dimensione più decisamente paesaggistica. La crescita del complesso corrisponde a una differente interpretazione delle singole parti: così la scala di alcuni di essi, in particolare quella degli stadi, assume diverso peso e valore quando vengono inseriti nelle concavità naturali del sistema collinare, o quando si affina la definizione di alcuni allineamenti ottici principali, organizzati secondo un andamento parallelo al Tevere e che trovano nella lontana cupola di S. Pietro il loro polo naturale.

Nel progetto del D. rimane ancora chiara l'intenzione di creare un paesaggio nel quale elementi architettonici e naturali si fondano in modo armonico, con un riferimento a modelli che possono essere desunti dall'architettura greca o dalle grandi ville tardoromane (le vicende del complesso fino al 1932 sono descritte in M. Piacentini, Il Foro Mussolini in Roma, in Architettura, 1933, febbraio, pp. 65-74). A partire dal 1933 lo schema originale del D. verrà lentamente modificato dall'inserimento di una serie di edifici e di opere monumentali dovute a mani diverse, che pur senza riuscire a modificare in modo determinante l'impianto, tuttavia ne travisano in senso monumentale le indicazioni.

Ai margini del foro Italico e nelle sue vicinanze il D. realizzò altre opere di notevole interesse che testimoniano il suo continuo interesse per la messa a punto di un sistema linguistico che tenesse conto degli apporti della cultura contemporanea. In particolare i progetti per la foresteria Sud (1930) e per la colonia elioterapica (1934-35), con i loro impianti planimetrici articolati nei quali è assente ogni memoria della regolarità simmetrica accademica, come pure il non realizzato progetto per la casa madre del Balilla (1933), sembrano dimostrare una sorta di adesione stilistica a un linguaggio moderno, scevro da riferimenti al repertorio classicista (P. Marconi, Due opere dell'architetto D., in Architettura, 1934, luglio, pp. 385-89; Red., La colonia elioterapica dell'O.N.B. a Roma, ibid., 1935, gennaio, pp. 1-6).

Questa tensione sembra spezzarsi con il progetto per il palazzo del Littorio in via dell'Impero (1935 e seguenti) che il D. realizzò in collaborazione con V. Ballio Morpurgo e A. Foschini. Dopo alterne vicende e varie modifiche, l'edificio venne realizzato proprio nell'area del Foro Italico (attualmente ospita il ministero degli Affari esteri), ed in un certo senso riassunse in sé le contraddizioni dell'architettura italiana nell'ultimo scorcio degli anni Trenta, quando gli stimoli e le aperture verso un rinnovamento che era sembrato possibile in alcuni momenti, venivano di fatto vanificati e ridimensionati dall'involuzione monumentale dell'architettura retorica e rappresentativa voluta dal regime fascista.

Il problema di una rifondazione del proprio linguaggio fu per il D. una necessità primaria negli anni successivi alla parentesi bellica. Dal progetto per il quartiere Ina-Casa dell'Isolotto a Firenze (1954) a quelli per la casa internazionale dello studente al foro Italico (1957-60), per la villa Nomentana a Roma (1960-63) o per il Centro di formazione professionale a Terni (1961-65), la ricerca dimostrò di muoversi nella linea di una continua attenzione alla dinamica di trasformazione della cultura architettonica italiana, che in questi anni procedette ad un generoso quanto sofferto processo di revisione della lezione del Movimento moderno.

Il significato dell'opera del D. è forse proprio in questa ricerca continua di attualità del proprio linguaggio, in nome di una autonomia dell'architettura che perseguì nonostante la propria presenza pubblica e le cariche ufficiali ricoperte: segretario della prima mostra del Sindacato laziale artisti nel 1929, segretario del Sindacato nazionale architetti nel 1935, accademico di S. Luca dal 1930, membro dell'accademia delle arti del disegno di Firenze dal 1941 e dell'Accademia dei virtuosi al Pantheon dal 1961, ricoprì anche incarichi legati all'attività professionale partecipando alla commissione per il piano regolatore di Roma (1952-59) e alla commissione urbanistica (1964) ed edilizia (1968) del comune di Roma.
Nel dopoguerra, dopo una breve parentesi, riprese l'attività di docente presso la facoltà di architettura dell'università di Roma, ricoprendo anche la carica di direttore dell'istituto di disegno e rilievo dei monumenti dal 1957 al 1964.

Professore emerito della stessa università dal 1966, morì a Roma il 12 luglio 1973.

Fonti e Bibl.: G. Accasto-V. Fraticelli-R. Nicolini, L'architettura di Roma capitale, Roma 1971, pp. 319, 322, 365, 415 s., 437, 451, 475; Il razionalismo e l'architettura durante il fascismo, a cura di S. Danesi - L. Patetta, Venezia 1976, pp. 70 s., 174 s.; E. Valeriani, D., Roma 1976 (con bibl. ed elenco delle opere); A. La Stella, in La Metafisica: gli anni Venti (catal.), II, Bologna 1980, pp. 83, 89 (con bibl.), 110-112 (ill.); Les réalismes (catal.), Paris 1980, pp. 408 s.; Gli anni Trenta (catal.), Milano 1983, ad Indicem.

di Enrico Valeriani

http://www.treccani.it/enciclopedia/enrico-del-debbio_(Dizionario-Biografico)/