Pietro Lingeri
LINGERI, Pietro. - Nacque a Bolvedro, una frazione del comune di Tremezzo, sulla sponda occidentale del lago di Como, il 25 genn. 1894, da Tomaso, ebanista, e da Isola Frigerio.
Nel 1906 si trasferì a Milano con uno stuccatore Invernizzi, che lo iniziò al mestiere di decoratore. L'anno successivo si iscrisse in qualità di stuccatore e plasticatore alla scuola superiore d'arte applicata all'industria del Castello Sforzesco. Contemporaneamente, come decoratore scultore, frequentava, insieme con i fratelli Angelo e Giacomo, la scuola degli artefici all'Accademia di belle arti di Brera. Nel 1915, all'inizio delle prima guerra mondiale, durante la quale perse il fratello Angelo, venne chiamato alle armi. Al termine del conflitto, nel 1919, venne introdotto nell'Accademia di belle arti dal maestro d'ornato G. Palanti, ma, per quanto impegnato negli studi, riprese a lavorare come stuccatore. Nella sessione straordinaria riservata ai militari, svoltasi nel 1920, conseguì la licenza di scuola tecnica. Il 26 luglio 1922 ottenne l'abilitazione all'insegnamento del disegno nelle scuole medie. Lo stesso anno sposò Edita Bordoli. Dal matrimonio nasceranno due figli, Angelo e Pier Carlo. Dopo aver frequentato dal 1922 il corso speciale di architettura, il 4 marzo 1926 ottenne il diploma di professore di disegno architettonico. Negli stessi anni G. Terragni, P. Bottoni, L. Figini, S. Larco, L. Vietti - come alunni architetti civili del corso di applicazioni del Politecnico - frequentavano il corso speciale di architettura a Brera. Con la maggior parte di loro, più giovani di circa dieci anni, il L. intrecciò rapporti di amicizia e di collaborazione. Rimase comunque estraneo alle battaglie teoriche e ideologiche condotte dal Gruppo 7, formato, tra gli altri da Terragni, Figini, Larco e G. Pollini. L'assenza di intellettualismo, la pragmaticità, la propensione all'impegno concreto portarono il L. a incarnare la figura del tecnico affidabile, flessibile, capace di interpretare i gusti e le esigenze del cliente, di seguire lo sviluppo del progetto in tutte le sue fasi, assicurandone la realizzazione senza ostacoli. Avvantaggiato anche da un carattere cordiale, si assicurò la fiducia di committenti che ricorsero alla sua opera in più occasioni durante gli anni. Emblematico è il caso di Pierino Martino e di suo cognato Aldo De Giovannini che gli commissionarono allestimenti di negozi, oltre che stand e progetti per residenze private, dal 1931 fino al termine della sua carriera. Nel settore commerciale, ma non solo, l'attitudine dimostrata dal L. nell'introdurre misurate innovazioni linguistiche, senza alcuna pretesa di creare opere manifesto, gli assicurò un ampio raggio di azione: tra il 1928 e il 1933, e in modo particolare dopo il 1931, progettò ventidue negozi, dei quali diciotto realizzati. Tra questi va considerata anche la ristrutturazione dell'albergo Manin a Milano che, con la galleria del Milione - allestita sempre a Milano nel 1930, su commissione dei fratelli Ghiringhelli - e la sede dell'Associazione motonautica italiana del Lario (Amila) a Tremezzo, diede al suo autore visibilità sulla stampa di settore. Il 15 genn. 1930 il L. ottenne l'iscrizione all'albo degli architetti di Milano. Nello stesso anno divenne membro del gruppo italiano dei Congressi internazionali di architettura moderna (CIAM), partecipò alla Triennale di Monza con l'allestimento dei salottini di prova nella sartoria moderna, ideata da un gruppo di architetti comaschi, e aderì al Movimento italiano di architettura razionale (MIAR), esponendo l'anno successivo alla seconda mostra organizzata a Roma dal movimento. Prima di affermarsi come progettista di negozi a Milano, il L. ottenne numerose commissioni nella sua terra di origine sul lago di Como: tombe e monumenti ai caduti, casette, ristrutturazioni e ampliamenti di ville, tra cui l'impegnativo incarico per la sistemazione della villa Meier a Tremezzo, che lo tenne occupato per tutti gli anni Venti. Il salto di qualità avvenne con la sede dell'Amila, realizzata nel 1931, della quale Persico (1931) apprezzava la "schiettezza del fuoribordo", la precisione di "congegno", logico e nudo come il ponte di una nave. Sviluppato su due livelli - quello superiore di soggiorno e rappresentanza, quello inferiore destinato all'attività sportiva - l'edificio si presenta infatti come una nave ancorata in riva al lago e pronta a salpare. L'aggiornato linguaggio adottato nell'Amila appariva perfettamente adeguato allo spirito pionieristico del "fuoribordismo" che legava i membri dell'associazione. Nel 1932 il L. aprì uno studio in corso Vittorio Emanuele e, insieme con Terragni, con il quale aveva già collaborato tra il 1925 e il 1926 in occasione del concorso per il monumento ai caduti di Como, iniziò a progettare le celebri cinque case milanesi (Rustici, Toninello, Ghiringhelli, Lavezzari, Comolli Rustici). Concepite a scopo di rendita, ma destinate a ospitare, nei piani alti, anche gli alloggi dei proprietari, le case, progettate e realizzate tra il 1933 e il 1938, si caratterizzano per la studiata composizione per piani, in un calibrato gioco di slittamenti, disarticolazioni dei volumi, tagli e aggetti. Nella casa Rustici in corso Sempione - il più famoso e giustamente celebrato dei cinque edifici, che comportò anche un maggiore investimento economico rispetto agli altri - il superamento dei tradizionali schemi insediativi si risolve in un impianto aperto, formato da due corpi paralleli collegati, sul fronte principale, da passerelle aeree che ristabiliscono l'unità della facciata. Il L. partecipò nel 1933 con il Gruppo comasco alla V Triennale di Milano con la Casa per un artista sul lago, un prototipo di abitazione per vacanza realizzata con materiali effimeri nel parco Sempione. Nello stesso anno divenne membro del direttorio del sindacato milanese architetti e partecipò alla fondazione della rivista Quadrante, diretta da M. Bontempelli e P.M. Bardi, firmando con Bottoni, M. Cereghini, Figini, G. Frette, E.A. Griffini, Pollini e i BBPR (G.L. Banfi, L. Barbiano di Belgiojoso, E. Peressutti, E.N. Rogers) il Programma di architettura apparso sul primo numero. Nel 1937 fu tra i fondatori della rivista Valori primordiali. In quell'anno iniziò a rielaborare il progetto, già messo a punto nel 1933, per la sistemazione dell'Isola Comacina, che, entrata in possesso del re del Belgio nel 1917 per via testamentaria, era stata da questo donata allo Stato italiano, per essere poi affidata, allo scopo di realizzarvi una colonia di artisti, all'Accademia di Brera. L'uso di muri in pietra locale che caratterizza le tre casette per artisti, costruite sull'isola nel 1940, divenne una cifra stilistica di molte opere progettate dal L. tra la fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta, come la villa Leoni, costruita tra il 1938 e il 1944 a Ossuccio, sulla sponda occidentale del lago, di fronte all'Isola Comacina. Pareti piene in pietra sono il motivo dominante anche del celebre e singolare progetto per il Danteum. Astratto recinto concepito come traduzione architettonica del poema dantesco, il tempio per il culto laico di Dante avrebbe dovuto sorgere a Roma sulla via dell'Impero di fronte alla basilica di Massenzio. Il progetto, sviluppato dal L. e Terragni tra il 1938 e il 1940, era stato commissionato dall'avvocato Rino Valdameri, raffinato collezionista d'arte e presidente dell'Accademia di Brera dal 1935 al 1940, al quale si devono altri incarichi al L., quali le ville a Portofino e a Rivolta d'Adda e, soprattutto, la nuova sede delle scuole d'arte di Brera. Il progetto per l'Accademia impegnò il L. per molti anni: tra il 1935 e il 1951 egli elaborò infatti cinque differenti soluzioni, in collaborazione con Figini, Pollini, e, fino al 1940, con Terragni. Nessuno dei progetti voluti da Valdameri venne realizzato. La stessa sorte toccò alle proposte presentate, in collaborazione con Terragni e altri, ai concorsi romani per il palazzo del Littorio (1934, 1937) e per il palazzo dei Ricevimenti e dei congressi all'E42 (1937-38). Maggiore fortuna ebbe il progetto per la sede dell'Unione fascista dei lavoratori dell'industria a Como, elaborato dal 1938 con C. Cattaneo, L. Origoni, A. Magnaghi, M. Terzaghi e costruito entro il 1943. Il motivo della griglia strutturale esposta in facciata, studiato in questa occasione, venne ripreso dal L. molti anni dopo nella sede per la finanziaria La Centrale, costruita a Milano tra il 1954 e il 1957. A seguito della distruzione dello studio-appartamento del L. in corso Vittorio Emanuele a Milano, avvenuta nell'agosto del 1943, l'ingegnere Attilio Terragni invitò l'architetto a sistemarsi a Como nella casa lasciata vuota alla morte del fratello Giuseppe. Nel 1945 il L. venne nominato membro della commissione generale per il piano regolatore di Milano. Dal 1946 al 1947 fu presidente del Movimento di studi per l'architettura (MSA). Nel 1948 si trasferì al n. 12 di via Sacchi a Milano, nel condominio realizzato su suo disegno, dove stabilì anche lo studio. L'industriale Carlo Frua De Angeli, con il quale il L. era già entrato in contatto nel 1933, sfruttò ampiamente la disponibilità dell'architetto a seguire, in qualità di tecnico di fiducia, un'ampia gamma di interventi, dalla creazione di nuovi stabilimenti, all'adeguamento di impianti esistenti e di strutture assistenziali per gli operai e i loro figli, all'arredamento di appartamenti e ville di proprietà della famiglia, come la ristrutturazione della villa a Positano, che impegnò il progettista a più riprese tra il 1943 e il 1958. Collocabile intorno al 1940 anche per affinità stilistiche con le case per lavoratori Ve.De.Me. a Milano, progettate con Magnaghi e Terzaghi e realizzate tra il 1941 e il 1944, è uno studio per convitto e case per lavoratori della società a Legnano che rimase però sulla carta, forse a causa della difficile congiuntura economica dovuta alla guerra.
Il risultato più interessante del lungo impegno del L. a servizio della società De Angeli Frua è rappresentato dalla sede degli uffici in via Paleocapa a Milano, ideata a partire dal 1946 in collaborazione con Giuseppe Casalis. Con il fitto ritmo di esili pilastri aggettanti rispetto al filo della facciata, l'edificio costituisce una variazione sul tema della struttura a vista sviluppato dal L. già dagli anni Trenta. La costruzione rimase per più di dieci anni incompiuta e venne terminata soltanto nel 1965.
Nel frattempo il L. aveva ampliato il suo raggio di azione professionale, dedicandosi prevalentemente, come numerosi altri progettisti negli anni della ricostruzione, a rapporti continuativi con imprese che si creavano ad hoc per la realizzazione di edilizia residenziale collettiva. Tra i trenta edifici costruiti a Milano tra il 1948 e il 1968 con la collaborazione dei figli Angelo, architetto, e Pier Carlo, ingegnere - che lo avevano affiancato nell'attività di studio già dall'inizio degli anni Cinquanta - vanno ricordati almeno il complesso in via Melchiorre Gioia (1949-51) e il condominio in via Legnano (1950-52).
Il L. proseguì inoltre con successo l'attività di allestimento di negozi e si impegnò in alcuni interventi di edilizia residenziale pubblica nell'ambito dei piani INA-casa (nei quartieri Comasina, Vialba, Forlanini nuovo a Milano e nel quartiere di Monte Olimpino a Como). In questo settore, l'opera più rilevante è la casa alta, progettata con Luigi Zuccoli, per il quartiere QT8 a Milano (1949-51). Le doti pragmatiche e la capacità di gestire contemporaneamente molti incarichi e molti cantieri, che avevano consentito all'architetto di affermarsi professionalmente nel corso degli anni Trenta, erano ormai funzionali alle mutate condizioni di produzione dell'edilizia. Nel 1951 venne conferito al L. il diploma di gran premio alla IX Triennale di Milano. L'architetto venne inoltre invitato a far parte dell'Istituto nazionale di urbanistica (INU).Tra il 1956 e 1957 fu presidente del Collegio degli architetti di Milano. Nel 1960, nell'ambito della XII Triennale, si tenne una mostra personale di architettura dedicata alla sua opera. Nel 1964 il L. fu nominato accademico di S. Luca e nel 1967 ricevette dal presidente della Repubblica G. Saragat il premio nazionale di architettura. Negli ultimi anni della sua vita si ritirò a Bolvedro di Tremezzo in una villa settecentesca acquistata e restaurata nei pressi della casa natale. Qui morì il 15 maggio 1968. Fonti e Bibl.: Milano, Studio Lingeri, Fondo P. L.; Tremezzo, Amila, Fondo P. L.; Como, Centro studi G. Terragni; Leader [E. Persico], Un club sul lago di Como dell'arch. P. L., in La Casa bella, IV (1931), 48, p. 11; L. Spinelli, Sede dell'A.M.I.LA. a Tremezzo (1927-1931), Genova 1994; P. L. La figura e l'opera. Atti della Giornata di studio… 1994, a cura di E. Lingeri - L. Spinelli, Milano 1995; G. Terragni. Opera completa, a cura di G. Ciucci, Milano 1996, passim; P. L. 1894-1968, a cura di C. Baglione - E. Susani, Milano 2004 (con bibl. dettagliata); Diz. encicl. di architettura e urbanistica, a cura di P. Portoghesi, III, Roma 1969, p. 397; Macmillan Encyclopedia of architects, III, New York 1984, p. 13; The Dictionary of art, XIX, p. 421; Diz. dell'architettura del XX secolo, a cura di C. Olmo, IV, Torino 2001, pp. 98 s. Chiara Baglione
http://www.treccani.it/enciclopedia/pietro-lingeri_(Dizionario-Biografico)/ |
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