Franco Albini

 
 
 
di Manuela Morresi

ALBINI, Franco. - Figlio di Baldassarre e di Corinna Toniolo, nacque a Robbiate (Como), il 17 ott. 1905. Trasferitosi a Milano con la famiglia, frequentò la sezione di architettura del politecnico laureandosi nel 1929. L'attività professionale, iniziata presso gli architetti E. Lancia e G. Ponti e proseguita dal 1931 nello studio condiviso con Renato Camus e Giancarlo Palanti, s'indirizzò, sin dalla partecipazione alla IV Biennale di Monza (1930), al campo dell'arredamento.

L'incontro con Edoardo Persico, avvenuto nel 1931, segnò un momento fondamentale nella formazione dell'A.: l'approccio al razionalismo, mediato da chi riconosceva, nell'apertura all'architettura internazionale, valori etici, e, insieme, precise istanze politiche, verrà ricordato dallo stesso A. come una vera e propria iniziazione.

Nel 1932, la prima esperienza progettuale in campo edilizio: si tratta del concorso per un quartiere popolare a S. Siro per l'IFACP (Istituto fascista autonomo case popolari) di Milano, al quale l'A. partecipò in collaborazione con G. Palanti e R. Camus, cui seguirono, per lo stesso istituto, i quartieri Fabio Filzi (1936), Gabriele d'Annunzio ed Ettore Ponti (1939), Nazario Sauro e Costanzo Ciano (190), con i medesimi collaboratori. Nessuno degli interventi progettati o realizzati per l'IFACP andò oltre la definizione del tessuto residenziale; l'esperienza della progettazione su una sorta di modulo fondiario elementare venne tuttavia utilizzata e approfondita nel quasi contemporaneo progetto urbanistico "Milano verde", per la sistemazione della zona Scalo-Sempione-Fiera, a Milano (1938, in collaborazione con I. Gardella, G. Minoletti, G. Pagano, G. Palanti, G. Predeval, G. Romano), di rigoroso impianto razionalista. Nel frattempo l'A. continuò la sperimentazione negli allestimenti per l'esposizione di Monza, divenuta Triennale dal 1933 e spostata a Milano, e per la Fiera campionaria. Del 1933 sono la Casa astruttura d'acciaio, in collaborazione con R. Camus, G. Minoletti, G. Mazzoleni, G. Pagano e G. Palanti, e i progetti per mobili, con G. Palanti, che ottennero la medaglia d'oro alla IV Triennale.

L'esposizione in facciata delle strutture portanti disposte a griglia nella Casa a struttura d'acciaio, preannunciava il tema dei telai articolati che l'A. sviluppò, con continuità di sperimentazione, a diverse scale - dall'allestimento per la sala dell'aereodinamica alla Mostra dell'aeronautica a Bari (1934), al padiglione permanente INA alla Fiera campionaria di Milano del 1935, alla Stanza per un uomo alla VI Triennale di Milano - fino alla paradossale ma rigorosissima libreria in tensistruttura, progettata nel 1940 per la propria abitazione, o alla Poltrona e tavolino, del 1943.

Ma, ancora, la Stanza di soggiorno per una villa, per la VI Triennale del 1940, insiste sul medesimo tema, inaugurando la serie delle scale sospese che ritorneranno nel più complesso esempio di villa Neuffer a Ispra (1940) e in alcune opere del dopoguerra.

È forse questa indubbia continuità di ricerca che ha indotto parte della critica a riconoscere nell'A. un epigono di quella "progettazione totale", ugualmente rigorosa e sempre coerente con se stessa in qualsiasi contesto (Argan, in L'Architettura, 1956). Eppure, quella "rinuncia a principi che non appartengano alle ragioni interne dell'opera" (Samonà, 1958), così palese in taluni allestimenti e soprattutto negli arredi - e basti qui ricordare la poltroncina Luisa del 1949 - appare talvolta indebolita ed offuscata nelle architetture.

Sino agli anni Cinquanta, comunque, l'A. fu prevalentemente attivo come allestitore e arredatore - padiglione temporaneo per l'INA alla Fiera campionaria di Milano del 1934; padiglione permanente per l'INA alla Fiera del Levante (Bari, 1935); galleria dell'industria italiana all'Esposizione internazionale delle arti e delle tecniche a Parigi (1937); padiglione FIAT alla Fiera campionaria di Milano del 1930, con G. Palanti; padiglione del piombo e dello zinco per la Montecatini alla Mostra autarchica del minerale italiano, con G. Minoletti e G. Palanti (Roma, 1938); modelli di mobili per il Wohnbedarf di Zurigo (1940); mostra di Scipione e del "Bianco e nero" alla Pinacoteca di Brera di Milano nel 1941; sistemazione della libreria Baldini Castoldi, della pellicceria Zanini e dell'Istituto di dermatologia cosmetica a Milano (1945), modelli di mobili per il Museum of Modern Art e per la Knoll di New York (1948) - con poche eccezioni, quali la villa Pestarini a Milano (1938), o il refettorio e spogliatoi per gli operai delle Officine elettrochimiche trentine (OET) a Calusco d'Adda, del 1942.

Numerosi, invece, i progetti non realizzati. A partire dal concorso per la ristrutturazione dell'ex fortezza di Savona (1935, con G. Romano), nel quale già presero forma i criteri che informeranno i successivi progetti di restauro (De Seta, in F.A. Architettura e design…, 1979), ai progetti per il palazzo della Civiltà italiana (1937) e per il palazzo dell'Acqua e della luce (1939) all'E 42 (EUR), con G. Palanti, G. Romano e G. Minoletti, che segnarono l'inizio della lunga collaborazione con Ignazio Gardella.

Nel 1944 la ditta Fonderie acciaio milanesi (FAM) Vanzetti, per la quale l'A. aveva lavorato con continuità sin dal 1932 (stands alla Fiera campionaria di Milano del 1932, 1933, 1936, 1940, 1941), gli affidò la progettazione, rimasta poi sulla carta, di uffici, laboratori e case operaie a Milano. Il blocco servizi fu l'occasione per sperimentare il tema dei collegamenti verticali, che dominerà i progetti di edilizia residenziale pubblica e privata degli anni Cinquanta.

Col primo dopoguerra si apri la breve ma significativa stagione urbanistica dell'A.: nel 1945 partecipò alla stesura del piano regolatore di Milano (piano AR), insieme con L. Belgioioso, P. Bottoni, E. Cerutti, I. Gardella, G. Mucchi, G. Palanti, E. Peressutti, M. Pucci, A. Putelli, E. N. Rogers. Del 1946, con Gardella, Palanti e Tavarotti, è il piano particolareggiato per la zona degli Angeli a Genova, che, insieme con il piano regolatore di Genova Nervi del 1948, segnò l'avvio del rapporto privilegiato dell'A. con la città ligure; nel 1947-48, infine, il piano regolatore per Reggio Emilia, in collaborazione con Luisa Castiglioni e Giancarlo De Carlo, e il concorso per il centro direzionale di Milano, con Bottoni, Belgiojoso, Mucchi, Peressutti, G. Pollini, Pucci e Romano. Nel 1946 diresse, con Palanti, i numeri 193-198 di Casabella/Costruzioni.

L'A. non si sottrasse all'ansia ricostruttiva che, pur senza raggiungere i toni polemici del dibattito architettonico romano, sosteneva le operazioni di edilizia pubblica nell'hinterland milanese. Anche questa occasione fu colta dall'A. come possibilità di arricchire la propria sperimentazione: il tema dei collegamenti verticali, visti come nodo compositivo, ritorna in questi progetti, a partire dal concorso bandito dall'INA-Casa nel 1950, per una Casa nella pianura padana. L'idea della scala espulsa all'esterno e agganciata all'edificio con ballatoi, trasformati in passerelle libere, venne sviluppata anche nel contemporaneo progetto per due case per lavoratori a Vialba (Milano), su incarico dell'INCIS e, ancora, nella più tarda casa per impiegati della Società del gres a Colognolo (1954, con F. Helg), dove l'A. pose e superò un'ulteriore difficoltà: un solo blocco scala, che serva più di due unità abitative, mantenendo una netta differenziazione dal nucleo edilizio.

Tra le opere avviate nel 1950 (oltre a quelle già citate, i quartieri INA-Casa a Crescenzago e Baggio, con F. Marescotti), maggiore rilievo hanno, per ragioni opposte, il quartiere IACP Mangiagalli a Milano, in collaborazione con Gardella, e il quartiere INA-Casa di Cesate (Milano), nella cui progettazione furono coinvolti, oltre all'A., G. Albricci, Belgiojoso, lo stesso Gardella, Peressutti e Rogers.

Al Mangiagalli, l'A. e Gardella raggiunsero un delicato equilibrio, nel quale l'articolazione dei volumi e un ulteriore studio sul tema della scala si univano ad un sapiente uso dei materiali, e alla cura dei dettagli. Al contrario, il caso di Cesate è emblematico per le sorti dell'edilizia pubblica nel nostro dopoguerra. Avviato con difficoltà (l'estensione dell'insediamento venne ridotta quando il piano urbanistico era stato ormai definito), nel 1957, mentre i servizi non erano ancora realizzati, il complesso era già pesantemente degradato. Le case dell'A., inserite nelle corti create dagli edifici di Belgiojoso, Peressutti, Albricci e Rogers, formano a loro volta piccole corti, con due blocchi di case a schiera, uniti da un portico di collegamento (Casabella/Continuità, 1957, n.216, pp. 16 s.).

L'avvio degli anni Cinquanta segnò un momento particolarmente intenso nella produzione dell'A., che nel 1949 aveva iniziato anche la carriera universitaria come professore incaricato presso l'Istituto universitario di architettura di Venezia. Nell'albergo per ragazzi Rifugio Pirovano a Cervinia, avviato nel 1949, l'A. sperimentò la possibilità di inserire nel particolare contesto paesaggistico valdostano un'architettura che fondesse tradizione, natura e tecnica.

Adagiato sulle linee di livello del terreno, sorretto a monte da un basamento di pietra e a valle da quattro imponenti pilastri, l'edificio utilizza, nelle pareti portanti in legno, il tradizionale sistema di incastro a "rascard". Lo stesso A., presentando quest'opera in uno dei suoi scritti (Albergo per ragazzi a Cervinia, in Edilizia moderna, 1951, n. 47, p. 67), enunciò i principi che ne avevano guidato la progettazione - "l'architettura moderna non consiste nell'uso di materiali e di procedimenti costruttivi nuovi, ma tutti i mezzi costruttivi sono validi in tutti i tempi, purché logici e ancora efficienti" -, anticipando i temi del suo intervento al dibattito sulla tradizione in architettura che si tenne a Milano, presso la sede del Movimento studi architettura, nel giugno 1955: per l'A., tradizione non è soltanto controllo collettivo, ma anche, o soprattutto, "argine alle licenze fantasiose" (Un dibattito sulla tradizione in architettura, in Casabella/Continuità, 1955, n. 206, p. 45).

In un contesto del tutto differente, ma ancora nel 1950, si ripresentò, nella produzione dell'A. il tema del "colloquio con l'ambiente". L'edificio per l'INA a Parma, ben inserito nel compatto tessuto urbano preesistente, rivela le sue raffinatezze soltanto ad un occhio avvertito: le strutture in cemento, esposte, ma ridotte a linee di forza, il ritmo delle bucature, la stessa distribuzione interna e la scala ovale possono essere lette come "metafora di una condizione artigianale che costringe a produrre opere uniche, dissimulate sotto una patina di modestia" (Tafuri, 1986, p. 38). Come era avvenuto per i piani urbanistici e per l'edilizia popolare, così, con l'impegno in campo museografico, l'A. affrontò un altro nodo del dibattito architettonico del dopo- guerra, in cui offrì le sue prove più convincenti, iniziatesi nel 1950, con la sistemazione delle Gallerie comunali di palazzo Bianco a Genova, su proposta della direttrice della ripartizione Belle Arti e Storia del Comune, Caterina Marcenaro.

Le innovazioni tecniche, che verranno assunte come soluzioni ripetibili dal sistema museografico contemporaneo - illuminazione perimetrale, flessibilità espositiva, previsione di depositi e studio dell'accessibilità dei materiali in essi conservati (Piva, 1983, p. 102) -, si uniscono ad una "raffinata neutralità dell'arredo nei confronti delle opere esposte" (Tafuri, 1986, p. 468). Si sviluppano e si approfondiscono le soluzioni adottate dallo stesso A. per la mostra del pittore Scipione a Brera, mentre vengono ripresi i temi codificati dall'amico Pagano nell'allestimento della mostra leonardesca di Milano del 1937: distacco dell'opera dalla parete, riduzione dei sostegni a linee sottili, eliminazione delle cornici non originali. È la via del "parlare sommesso" che l'A. sceglie a palazzo Bianco, in luogo degli interminabili racconti che si snodano nei musei di P. Scarpa, o delle soluzioni scenografiche proposte dai BPR (Belgiojoso Peressutti Rogers) al Museo del Castello Sforzesco (Milano, 1956).

Nel 1952 l'A. conseguì la libera docenza in composizione architettonica e architettura d'interni. Nello stesso anno, l'inizio della collaborazione con Franca Helg coincise con il momento di maggiore attività genovese. Mentre si succedevano gli incarichi per allestimenti - mostra delle arti applicate, mostra delle ceramiche di Picasso e mostra "La storia della bicicletta" alla IX Triennale di Milano (1951); mostra di architettura italiana a Londra (1952, con E. Peressutti); mostre di arte contemporanea e di architettura italiana a Stoccolma e Helsinki (1953) -, nel 1952 presero il via tre rilevanti interventi: si tratta del Museo del Tesoro di S. Lorenzo, del restauro e della sistemazione a museo di palazzo Rosso e dei nuovi uffici comunali dietro palazzo Tursi a Genova.

Il Museo di S. Lorenzo, nella sua totale astrattezza, è un punto d'arrivo di rara qualità, perfettamente conseguente alle sperimentazioni albiniane. Nello spazio sotterraneo e cieco, privo di prospettive naturali, l'architettura e misura a se stessa. In ciascuna delle tre tholoi di pietra scura, raccordate da uno spazio esagonale, teche in vetro sapientemente disposte racchiudono il tesoro. Ogni elemento è attentamente calibrato, così da creare un perfetto universo artificiale, chiuso e protetto.

Il complesso gradonato dei nuovi uffici comunali (1952-1962), che ospita anche le sale del Consiglio e della giunta, parte dal principio opposto. Il sito erto e scosceso e la necessità di non impedire la visibilità del mare dalla piazzetta soprastante richiedono un'architettura che segua il paesaggio, interpretandone la naturalità. Così le coperture dei tre blocchi divengono giardini praticabili - soluzione, questa, che verrà ripresa nelle terme Luigi Zoia a Salsomaggiore (1963) - e i due piani completamente vetrati che tagliano il fronte verso il mare ne accentuano la mobilità (Viviani-König, 1958).

A palazzo Rosso (1952-62) si sviluppano i principi museografici già sperimentati a palazzo Bianco: nella galleria del primo piano nobile, i quadri collocati accanto alle finestre sono montati su supporti rotanti e allungabili che permettono un corretto orientamento rispetto alla luce, il monetario assomma la doppia funzione di deposito e di esposizione. Il restauro del palazzo settecentesco, danneggiato dalla guerra, prevedeva l'eliminazione delle decorazioni ottocentesche, particolarmente ricche e raffinate nell'appartamento del secondo piano nobile. Sul presunto assetto settecentesco così ripristinato, l'A. e la Helg intervennero per frammenti: il loggiato è chiuso, come a palazzo Bianco, da vetrate in cui i supporti sono ridotti al minimo, eppure attentamente studiati, la moquette rossa unifica cromaticamente gli spazi, la scala ottagonale sostenuta da tiranti metallici riprende il tema già caro alle architetture albiniane degli anni Quaranta.Nel 1954 l'A. fu chiamato come professore di ruolo alla facoltà di architettura di Torino. Nello stesso anno, risultò vincitore del concorso nazionale per l'allestimento del salone d'onore alla X Triennale, mentre proseguiva la serie degli interventi genovesi.

La costruzione d'impianti sportivi e servizi per la coppa Davis alla Valletta Cambiaso (1955) e la realizzazione di una parte del piano particolareggiato studiato dallo stesso A. nel 1950 nel complesso INA per uffici e abitazioni a Genova Piccapietra, sono episodi che s'inseriscono temporalmente nello sviluppo dei temi museali che costituiscono il filo conduttore dell'attività genovese dell'architetto sino al 1977. Mentre era in esecuzione il restauro di palazzo Rosso, l'A. progettò e arredò la Casa per un amatore d'arte, posta nel sottotetto dello stesso palazzo, e due anni più tardi, con il progetto di concorso per il palazzo dell'Arte (primo premio; per il primo grado, con M. Labò e L. C. Daneri; con L. Grossi Bianchi e G. Zappa per il secondo grado) ebbe l'occasione di misurare le precedenti esperienze museografiche al di fuori dei vincoli imposti da un involucro edilizio preesistente.

Dal 1955 l'attività universitaria dell'A. si spostò a Venezia, dove rimase come professore di ruolo sino al 1964. Tra la metà degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, gli allestimenti dello studio Albini riguardarono soprattutto la produzione industriale - stands Montecatini alla Fiera campionaria del 1954, 1955, 1956, 1962; stands Pirelli alla fiera del ciclo e del motociclo del 1956 e alla campionaria del 1958; negozio Sampo-Olivetti a Parigi (1958); mostra "Confronto del vetro e dell'acciaio" alla XII Triennale (Milano 1960); padiglioni "Organizzazione, produttività e mercato" e "La ricerca scientifica" all'Esposizione internazionale Italia '61 a Torino - con alcune eccezioni, quali l'allestimento della mostra di arte italiana all'Esposizione per il centenario di San Paolo in Brasile (1954) e della mostra di Delacroix alla Biennale di Venezia del 1956. Un'ulteriore breve parentesi urbanistica è costituita dalla progettazione dell'intero complesso e di un primo gruppo di fabbricati per il quartiere INA-Casa a Scandiano (Reggio Emilia, con E. Marifredini, già collaboratore dell'A. per il piano particolareggiato del quartiere Mirabello a Reggio Emilia nel 1952), mentre il piano regolatore dell'Habana del Este a Cuba apre la serie degli incarichi all'estero.

La complessa vicenda della progettazione dei grandi magazzini per la Rinascente a Roma, avviata nel 1957, è un capitolo fondamentale non soltanto nella produzione albiniana, ma piuttosto nella architettura italiana degli anni Cinquanta: indice della grande risonanza dell'attività dell'A. in quegli anni, è il giudizio espresso da Leonardo Benevolo, che lo indicò come il migliore architetto italiano in senso assoluto (Storia dell'architettura moderna, Bari 1960, p. 949).

Il tema è ancora quello del "colloquio con l'ambiente", che aveva informato la progettazione dell'edificio per l'INA a Parma, ma l'intervento della committenza e il mutato contesto spaziale e temporale condurranno ad un esito del tutto differente. Il primo progetto (1957-59) prevedeva un volume completamente cieco, solcato dal telaio sporgente delle strutture in ferro, con una grande scala esterna, anch'essa in ferro, posta diagonalmente sul lato corto dell'edificio e due livelli di parcheggio, l'uno coperto e l'altro scoperto, collocati sul tetto (Quintavalle, 1961). La versione realizzata dopo il rifiuto del primo progetto da parte della committenza (1960-61), acquista familiarità e piacevolezza - le strutture in ferro, pur sempre a vista, rimangono a scandire l'andamento dei piani, il fronte su piazza Fiume è interrotto da tre coppie di grandi finestre, la scala esterna è scomparsa, e in luogo del parcheggio un alto cornicione conclude l'edificio -, rinunciando al carattere di "macchina essenziale", nella quale il controllo dello spazio è espresso senza concessioni al gusto. Del primo progetto rimase e si sviluppò l'idea di inserire il condizionamento dell'aria, i dispositivi antincendio e l'illuminazione, direttamente nelle strutture. Nei pannelli di tamponamento realizzati in cemento inerte di colore rosa corrono le canalizzazioni, denunciate all'esterno da corrugamenti che incidono la facciata: l'esposizione della tecnica diviene decorazione e "imprigiona il sistema di impianti all'interno di un formato classicheggiante così rigido, ed allo stesso tempo così timido, da passare quasi inosservato" (Banham, 1978, p. 255).

Come avviene con altre "serie" di interventi, così le ville unifamiliari progettate dallo studio Albini a partire dalla metà degli anni Cinquanta, sono variazioni su un medesimo tema. La ricerca di un centro attorno al quale organizzare gli spazi è ricostruibile sin dal progetto per la villa Olivetti a Ivrea (1955-56, non realizzata): partendo da un impianto a più centri e attraverso successive semplificazioni, l'A. giunse ad individuare un nucleo dal quale la pianta si irraggia, dando origine ad un organismo in cui gli angoli si moltiplicano e i volumi si incastrano, in un calibrato gioco formale (Quintavalle, 1961). È la medesima ricerca a guidare i progetti per la contemporanea villa Zambelli a Forlì, fino alle successive ville Allemandi a Punta Ala (1961), Stagalini a Pieve Ligure (1963), Osti a Bogliasco (1962-63), Ghiron a Quarto (1963-64). Le soluzioni strutturali adottate e la scelta dei materiali in funzione dei diversi siti conducono comunque, al di là della matrice comune, a risultati volta in volta differenti. Da questa medesima matrice e dalla ricerca delle molteplici possibilità insite in uno schema geometrico ha origine il progetto di case per appartamenti in via Argelati a, Milano (1960-62).

Il nucleo centrale è questa volta rappresentato dalla scala. Attorno ad essa i volumi si espandono a riseghe, e la mobilità delle facciate, accentuata verso l'alto dall'inserimento delle terrazze angolari, rivela all'esterno la disposizione e le caratteristiche dei diversi tipi di alloggi.

Tra il 1962 e il 1963 lo studio, nel quale era entrato anche Antonio Piva, lavorò inoltre alla sistemazione di negozi e banche (gallerie Marlborough e Sistina e lobbies e negozi dell'Hôtel Cavalieri Hilton a Roma, Banca Loria e agenzia di via Turati della Banca popolare a Milano), e alle finiture e all'arredo delle stazioni della metropolitana di Milano, in collaborazione con B. Noorda.

L'uffimo grande intervento genovese dell'A. riguardò il restauro dei chiostri di S. Agostino a piazza Salzano (Casabella, 1979, n. 431 pp. 25-33) destinati a accogliere le raccolte lapidee del comune.

Avviata nel 1963 e non compiuta alla morte dell'A., quest'opera pose differenti problemi: mentre il gotico chiostro triangolare, occupato tra l'altro da ingombranti superfetazioni, manteneva intatti i suoi volumi e richiedeva un intervento di ripristino, l'attiguo chiostro quadrangolare settecentesco, che più era stato devastato dalla guerra, appariva completamente svuotato. Nella soluzione albiniana l'integrazione delle parti mancanti, condotta con alto impegno tecnologico, è sempre e comunque distinguibile dalle parti originali; e si unisce ad un'attenta reinterpretazione del contesto, mentre l'allestimento costituisce un ulteriore sviluppo delle soluzioni già sperimentate nei precedenti musei genovesi.

Negli anni successivi l'A. rimase ancora legato alla città ligure: tra il 1964 e il 1965 vi progettò un insediamento residenziale e studiò il piano paesaggistico per l'area dei Forti; nel 1971, infine, un edificio per uffici e abitazioni nella zona Madre di Dio. Dalla metà degli anni Sessanta lo studio rallentò la produzione sia per quanto riguarda gli allestimenti, sia in campo architettonico: appartamenti ed uffici in viale Testi a Milano (1964-65); appartamenti a Courmayeur (1964-65); stand Italsider alla Fiera di Milano del 1967 e 1968, con E. Gentili Tedeschi; stazione Duca d'Aosta della linea 2 della metropolitana di Milano (1967, con C. Rusconi Clerici); villa Corini a Parma (1967-70); case unifamiliari a Cervinia (1968); magazzini Brionvega ad Arzano (1968).

S'iniziava intanto una lunga serie di progetti non realizzati: albergo a Santa Cesarea Terme, concorso per un grande magazzino a Zurigo e per un museo ellenistico ad Alessandria d'Egitto (1964-65); progetti per "unità di abitazione" e per una scuola magistrale a Modena (1966-67); progetto di sistemazione del Museo del Cairo e del nuovo Centro culturale annesso al Museo egizio; concorso per i nuovi uffici tecnici dell'Alfa Romeo ad Arese (1968); concorso per il nuovo teatro Civico a Vicenza (1970, primo premio); progetti per un centro civico, una mensa e una scuola materna a Sassuolo, con A. Astorini.

Nel 1964 l'A. si trasferì alla facoltà di architettura del politecnico di Milano. La Biennale di Venezia gli dedicò, nel 1968, una personale di architettura.

Nel 1967-70 si eseguirono le terme Luigi Zoia a Salsomaggiore, progettate in versione definitiva nel 1963, dopo la rinuncia alla localizzazione prevista dal concorso del 1959, la sospensione del primo progetto e l'identificazione della nuova area nella zona dell'ex campo sportivo.

I tre bracci dell'edificio convergono verso lo spazio centrale di distribuzione dominato dal motivo tipicamente albiniano della scala ellittica. Gli esiti sperimentati nei nuovi uffici comunali di Genova vengono ripresi e sviluppati: le forti modanature orizzontali scompongono la rigidezza geometrica dei volumi, la massa delle superfici vetrate ne accentua la trasparenza, la soluzione del tetto praticabile e collegato al giardino ne sottolinea la mobilità.

Nel 1969 venne affidato allo studio l'incarico del restauro dei chiostri del convento degli eremitani a Padova.

Il progetto dell'A., che sarebbe stato realizzato solo in parte, prevedeva, oltre al restauro dei due chiostri del convento e all'allestimento per il nuovo Museo civico di Padova, la ristrutturazione di case medioevali attigue, la costruzione di una nuova pinacoteca accanto alla parte absidale della chiesa e la ricostruzione di un corpo avanzato sulla sinistra della facciata, nel luogo dove sorgeva un edificio di C. Boito, demolito intorno al 1960. L'intervento sul chiostro maggiore, a completamento del restauro già avviato dalla Soprintendenza di Venezia, si limitò ad operazioni di conservazione, eccezion fatta per l'aggiunta di una scala e per la chiusura a vetro del loggiato del primo piano. Il chiostro minore, più gravemente degradato, venne praticamente ricostruito con elementi strutturali in acciaio, usando tecniche analoghe a quelle sperimentate nel chiostro triangolare di S. Agostino a Genova. Al termine di questa prima fase di lavori, il comune di Padova chiuse il cantiere (Il nuovo Museo civico di Padova, 1977).

Negli ultimi anni l'attività dell'A. si concentrò su pochi ma significativi progetti: dagli uffici SNAM a San Donato Milanese, in cui i leggeri corrugamenti delle facciate della Rinascente a Roma diventano pesanti carenature orizzontali che abbracciano l'intero complesso con la medesima funzione, all'allestimento della mostra di Palladio a Vicenza, al restauro esemplare della Domus Connestabilis di Vicenza (1974).

L'A. morì a Milano, il 1º nov. 1977. Nel 1939 aveva sposato Carla Vaccari dalla quale ebbe un figlio Marco che, nel 1965, entrò a far parte del suo studio. L'archivio dell'A. è conservato presso lo studio, che dal 1978 ha assunto la denominazione Marco Albini, Franca Helg, Antonio Piva architetti associati.

Fonti e Bibl.: Una bibl. esauriente relativa agli scritti di e su Albini è in AA. VV., F. A. Architettura e design 1930-1970, Firenze 1979 (con profilo biografico), e F. Helg, Testimonianza su F. A., in L'Architettura. Cronache e storia, XXV (1979), 2, n. 288, pp. 551-604. Tra gli scritti più significativi si vedano: G. Pagano, Casa P. a Milano dell'architetto F. A., in Casabella/Costruzioni, 1939, n. 142, pp. 6-15; Id., Due quartieri popolari a Milano. Quartiere G. D'Annunzio ed E. Ponti, ibid., 1942, n. 178, pp. 2-20; AA.VV., Studi per il nuovo piano regolatore di Milano. Progetto degli architetti e ingegneri A., Belgiojoso, Bottoni, Cerutti, Gardella, Mucchi, Palanti, Peressutti, Pucci, Putelli, Rogers, in Metron, 1946, n. 10, pp. 18-31; L. Piccinato, Il concorso di idee per il centro direzionale di Milano, Progetto degli architetti Albini, Bottoni, Belgiojoso, Mucchi, Peressutti, Pollini, Pucci, Romano (Gruppo CIAM), ibid., 1948, n. 30, pp. 1417; P. A. Chessa, Gli alberghi per la gioventù. Progetto di F. A., Luisa Castiglioni, Giancarlo De Carlo, in Comunità, 1949, n. 28, pp. 42-45; G. C. Argan, La galleria di palazzo Bianco a Genova, in Metron, 1951, n. 45, pp. 25-28; E. Gentili, F.A., in Comunità, 1954, n. 28, pp. 42-46; M. Labò, IlMuseo del Tesoro di S. Lorenzo in Genova di F. A., in Casabella/ Continuità, 1956, n. 213, p. 6; G. C. Argan, Il Museo del Tesoro di S. Lorenzo a Genova, in L'Architettura. Cronache e storia, II (1956), n. 14, pp. 557-565; G. Samonà, F. A. e la culturaarchitettonica in Italia, in Zodiac, 1958, n. 3, pp. 83-117; R. Viviani-G. K. König, Gli ufficicomunali di Genova di F. A., in Comunità, 1958, n. 64, p. 71; A. C. Quintavalle, Architettura e ambiente in un progetto di F. A., ibid., 1961, n. 95, pp. 99-105; E. N. Rogers, Un grande magazzino a Roma, in Casabella/Continuità, 1961, n. 257, p. 2; P. Portoghesi, La Rinascente a piazza Fiume a Roma, in L'Architettura. Cronache e storia, VIII (1962), n. 73, pp. 602-618; F. Menna, A. o l'architettura della memoria, in La regola e il caso, Roma 1970, pp. 101-112; F. Helg, Stabilimento termale a Salsomaggiore Terme, in L'Architettura. Cronachee storia, XVII (1971), n. 192, pp. 356-368; B. Zevi, Palazzo Rosso a Genova, in Cronache di architettura, IV, Bari 1971, pp. 251-253; Id., La Rinascente romana di A., Sovvertito il rapporto tamponamento e struttura, ibid., pp. 284-289; P. Fossati, F. A., in Ildesign in Italia, Torino 1972, pp. 77-83; A. Cortesi, SNAM, uffici e mensa a S. DonatoMilanese, in L'Architettura. Cronache e storia, XX (1974-75), 2, n. 232, pp. 612-622; M. Tafuri, Les'Muses inquiétantes' ou le destin d'une générationde 'Maîtres', in L'architecture d'aujourd'oui, 1975, n. 181, pp. 14-33; AA.VV., Il nuovo Museo civicodi Padova, in Casabella, 1977, n. 429, pp. 31-40; R. Banham, Energia in evidenza, in Ambiente e tecnica nell'architettura moderna, Bari 1978, pp. 252-256; M. Grandi-A. Pracchi, Milano. Guidadell'architettura moderna, Bologna 1980, ad Indicem; G. De Feo-E. Valeriani, Architetture italiane degli anni '70, Roma 1981, pp. 10-20; Th. L. Schumacher, in MacMillan Encycl. of Architects, I, London 1982, p. 60; A. Piva, La costruzione del museo contemporaneo, Milano 1983, ad Indicem; P. O. Rossi, Roma. Guida all'architettura moderna, 1900-1984, Roma-Bari 1984, pp. 136, 2255.; A. Belluzzi-C. Conforti, Architettura italiana 1944-1984, Roma-Bari 1985, ad Indicem; M. Tafuri, Storia dell'architettura italiana 1944-1985, Torino 1986, ad Indicem.


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